Biodanza per Disabili - Biodanza Venezia e Provincia - Treviso

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Biodanza per Disabili

PROGETTI

Percorsi di Biodana applicati alle persone diversamente abili
presso i CEOD di Scaltenigo-MIrano e Peseggia
Operatore: Franco Dalla Libera
in collaborazione con Michela Busatto

“Ai  disabili che lottano, non per diventare normali, ma se stessi!”  G. Pontiggia


RELAZIONE TRA HANDICAP E SOCIETA’

Prima di procedere alla descrizione dell’attività di Biodanza per Disabili, vorremmo fare alcune riflessioni, volte a fare chiarezza, sul tipo di linguaggio utilizzato e soprattutto per dare alcune delucidazioni su cosa sia una situazione di handicap.
Nella definizione di handicap troviamo tre elementi di notevole rilievo: ambiente – identità personale – concetto di norma. L’essere umano, indipendentemente dall’essere portatore di qualsiasi forma di disabilità, è una persona che si relaziona con il mondo in una dimensione spazio-temporale. Questa dimensione è data dall’ambiente di appartenenza, caratterizzato da limiti e risorse. All’interno del proprio ambiente di vita, la persona vive la possibilità di creare legami sociali attraverso la percezione degli altri: per una persona disabile la percezione dell’altro può essere compromessa o comunque difficoltosa. La costruzione quindi della propria identità personale, come immagine di se stessi, nelle potenzialità oltre che nei limiti, può essere ancor più faticosa, e si scontra con un concetto di norma che è dato da una società normo-dotata in costante evoluzione: ne consegue che anche il concetto di norma si modifica nel tempo, a seconda delle richieste che la società esprime verso le persone!  In riferimento al singolo individuo “essere nella norma” cambia durante il percorso di vita rispetto alle richieste legate all’età, rispetto alle possibilità di sviluppo delle potenzialità, e questo dipende in modo significativo anche dall’ambiente di vita della persona.
“La designazione di handicap è il risultato dell’interazione tra le disabilità dell’individuo e le attese di normalizzazione che la società esprime particolarmente nei confronti delle seguenti aree comportamentali: autonomia, comunicazione, locomozione, socializzazione e lavoro.”
Tale etichetta non ha perciò valore assoluto, ma cambia col variare del concetto di norma che, come leggeremo di seguito, è suscettibile di cambiamenti anche molto significativi.

          



DISABILITA’ E SALUTE: UNA NUOVA VISIONE


Nel maggio 2001 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato la “Classificazione internazionale del funzionamento, della salute e disabilità”(ICF), che 191 Paesi riconoscono come la nuova norma per classificare salute e disabilità.
La Classificazione ICF diventa così lo strumento dell’OMS per descrivere e misurare la salute e la disabilità degli individui.
La Dr.ssa G. H. Brundtland, Direttore Generale dell’OMS, nel suo intervento di apertura della Conferenza OMS Salute e Disabilità, svoltasi nell’aprile 2002 a Trieste ha dichiarato, che la nuova linea strategica dell’OMS, può essere riassunta in tre parole “la salute innanzitutto”, ovvero che il miglioramento della salute di un individuo, o di una popolazione, non consiste solo nella riduzione della morte prematura dovuta a malattia o traumatismo. La salute infatti riguarda anche il funzionamento, la capacità di ognuno di vivere la propria vita pienamente e come membro della società.
Questa dichiarazione ha segnato una svolta di pensiero e azione rispetto al passato; infatti per la prima volta l’OMS fornisce uno strumento, l’ICF appunto, condiviso e approvato internazionalmente, che rivoluziona il modo di considerare la salute degli individui e la disabilità, che da quel momento inizia a prendere in considerazione le condizioni di salute in termini di funzionamento e di esperienza prendendo finalmente in considerazione tre nuove prospettive:
a) il CORPO,
b) la PERSONA (età, sesso, razza, educazione, ecc...),
c) la PERSONA NEL SUO CONTESTO (fisico, sociale, attitudinale, ecc...).

Il modello descritto nell’ICF riflette i cambiamenti di prospettiva nella disabilità, che sono presenti sin dagli anni settanta, e classifica la salute e gli stati di salute ad essa correlati, si tratta di un capovolgimento di logica: poiché gli indicatori tradizionali si basavano solo sui tassi di mortalità, ora l’ICF pone come centrale la qualità della vita delle persone affette da una patologia; permette quindi di evidenziare come possono convivere con la loro condizione e come sia possibile migliorarla affinché possano contare su un’esistenza produttiva e serena.
L’ICF propone il modello BIOPSICOSOCIALE della disabilità, un modello che, integrandoli, riesce ad ovviare alla contrapposizione tra il modello puramente “medico” e quello puramente “sociale” di disabilità. Mentre il “modello medico” considerava la disabilità come problematica della persona, derivante da una malattia o trauma o altra condizione di salute che richiedesse un’assistenza medica, “il modello sociale” considerava la disabilità come un problema determinato dalla società.
La Classificazione ICF rappresenta un’autentica rivoluzione nella definizione e quindi nella percezione della salute e della disabilità, ed è estremamente importante il fatto che, evidenziando l’importanza di un approccio integrato, per la prima volta, si tiene conto dei fattori ambientali. La nuova classificazione prende infatti in considerazione gli aspetti contestuali della persona, e permette la correlazione fra stato di salute e ambiente arrivando così alla definizione di disabilità come:
“la conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo, i fattori personali ed i fattori ambientali, che rappresentano le circostanze in cui vive un individuo”.
La parola HANDICAP, che in uno studio in diversi Paesi fatto dall’OMS, ha connotazione negativa in moltissime lingue, non sarà più utilizzata!
Da questo momento in poi si potrà parlare di diversamente abili in riferimento alle persone che vivono una disabilità nella loro vita.
L’OMS propone quindi con l’ICF un modello universale di salute e disabilità, con ricadute di grande portata sulla pratica medica e sulle politiche sociali e sanitarie internazionali.
Quello di salute è infatti un concetto multidimensionale, così come quello di disabilità, entrambi condividono le stesse dimensioni concettuali.
LA QUALITA’ DELLA VITA AL CENTRO
La disabilità non è più il problema di un gruppo minoritario di persone all’interno di una comunità, quanto piuttosto una condizione che ognuno può sperimentare durante la propria vita. L’ICF quindi non è una classificazione che riguarda un “gruppo”, ma riguarda TUTTI poiché tutti possono avere una condizione di salute che, in un contesto ambientale sfavorevole, causa disabilità; si passa da una classificazione delle persone ad una classificazione degli stati di salute ad esse correlati.
L’ICF mette infatti tutte le condizioni di salute sullo stesso piano, senza distinzioni sulle cause, sulla eziologia; al contrario, a parità di patologia, vengono analizzati i contesti sociale, familiare, abitativo o lavorativo della persona: tutti fattori che possono avere un peso non indifferente sulla qualità della vita. Il ribaltamento di prospettiva è evidente perché finalmente si può mettere “al centro” la qualità della Vita delle persone, evidenziando come le persone convivono con la loro condizione  e come sia possibile migliorarla affinché possano contare su un’esistenza produttiva e serena, ponendo così tutte le patologie sullo stesso piano, indipendentemente dalla loro causa.
Il modello del funzionamento e della disabilità secondo l’ICF si può riassumere:




IL PERCORSO STORICO: DAL CONCETTO DI “HANDICAP” A QUELLO DI “DIVERSAMENTE ABILI”


La vecchia classificazione denominata ICIDH del 1980, si basava su un modello sequenziale di base rappresentato da tre concetti correlati fra loro, non sovrapponibili o intercambiabili, ma che comunque rappresentano i concetti cardine distinti fra menomazione, disabilità ed handicap, che è opportuno analizzare di seguito perché ci permette di fare chiarezza sul linguaggio e sul significato di parole usate comunemente.
L’EVENTO LESIVO -  la MENOMAZIONE veniva definita come “qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica”. La menomazione è caratterizzata da perdite o anormalità transitorie o permanenti a carico di arti, organi, tessuti o altre strutture del corpo, incluso il sistema delle funzioni mentali. Rappresenta l’assenza o il malfunzionamento di una o più componenti che caratterizzano il concetto di “persona”, di carattere biomedico e quindi la esteriorizzazione di una condizione patologica.. Se il danno è causa di una limitazione o la perdita di una o più capacità funzionali tali da modificare negativamente l’attività del soggetto, la sua esperienza di vita ne risulta condizionata in modo oggettivo.
Ecco allora la DISABILITA’ e cioè “qualsiasi limitazione o perdita (conseguente a menomazione) delle capacità di compiere un’attività nel modo o nell’ampiezza considerati normali per un essere umano”. E’ caratterizzata da scostamenti, per eccesso o per difetto, nella realizzazione di compiti, prestazioni e comportamenti, che costituiscono gli aspetti essenziali della vita di ogni giorno. Possono avere carattere: temporaneo, permanente, reversibile o irreversibile, progressivo o regressivo. Le disabilità possono insorgere come diretta conseguenza di menomazioni o come risposte dell’individuo, soprattutto di tipo psicologico ad una menomazione fisico-sensoriale o di altra natura.
La disabilità riguarda le capacità intese come attività e comportamenti compositi, che sono generalmente accettate come componenti essenziali della vita quotidiana.
L’HANDICAP è invece “la situazione di svantaggio, conseguente ad una menomazione o ad una disabilità, che in un soggetto limita o impedisce l’adempimento del ruolo normale per tale soggetto in relazione all’età, sesso e fattori socioculturali”. Riguarda l’incontro tra la disabilità (espressa dalla persona) e il contesto in cui la stessa vive e si esprime, ed è caratterizzato dalla discrepanza tra le condizioni del soggetto e le aspettative individuali e del gruppo di appartenenza. Ovvero l’allontanamento dalla norma comunemente accettata. L’handicap è quindi la socializzazione di una menomazione o di una disabilità e come tale riflette le conseguenze per l’individuo sul piano culturale, sociale, economico ed ambientale che nascono dalla presenza di menomazioni e disabilità.
L’importanza di queste definizioni risiedeva proprio nell’ammissione che l’handicap è un fenomeno sociale e culturale strettamente causato da fattori ambientali e sociali.

Questo modello fu quello che precedette l’ICF e rappresentò un tentativo approssimativo di capire meglio “cosa fare” e “come”, nella classificazione della disabilità.
Come già detto, la pubblicazione del 1980 aveva molti limiti concettuali, non ultimo il fatto che il modello di disabilità era consequenziale: hai una malattia quindi hai una menomazione, una disabilità ed un handicap, si passa dalla lotta contro il negativo (la disabilità, il limite) alla facilitazione (educazione) del positivo (funzionamento).
Ma fortunatamente l’approvazione dell’ICF da parte dell’Assemblea Mondiale della Sanità del 2001 ha di fatto cancellato l’utilizzo dell’ICIDH dalla pratica e proposto l’ICF come strumento standard per misurare il funzionamento della salute e della disabilità.

IL NUOVO ORIENTAMENTO DELLE MODALITA’ D’INTERVENTO    

La salute non è assenza di patologia ma qualità di Vita!

Le informazioni ricavabili dall’ICF sono utili non solo per studiare la disabilità, ma anche e soprattutto per scegliere gli interventi più appropriati.
Ad esempio: se il problema è una menomazione o una limitazione dell’attività, l’intervento sarà focalizzato sull’individuo e potrà essere un trattamento medico o chirurgico della menomazione o un trattamento riabilitativo per migliorare la capacità della persona (ad es: potenziamento della forza muscolare, tecniche di apprendimento, modalità di controllo delle emozioni, ecc...).
Se il problema è collegato invece più a restrizioni della partecipazione a causa di discriminazione, allora l’intervento sarà diretto all’eliminazione di queste cause.
L’ICF permette dunque la descrizione delle differenze nell’esperienza di disabilità e favorisce la ricerca fatta in maniera globale. Permette inoltre lo sviluppo di chiare e precise strategie d’intervento e di valutazione, non solo migliorando la capacità della persona, ma cambiando l’ambiente così da favorire i facilitatori (ausili, tecnologie innovative, ecc...) e ad eliminare barriere.
La riabilitazione gioca un ruolo importante nel migliorare e ridurre la limitazione dell’attività di una persona ed è qui che gli ausili, la tecnologia, ma anche percorsi espressivi ed esistenziali come la BIODANZA, possono migliorare la performance di una persona. Le migliori innovazioni derivanti dalle ricerche biomediche, tecniche ed informatiche, possono offrire un importante aiuto alla riduzione della disabilità. La persona deve poter scegliere quali, tra tutti gli interventi e gli ausili possibili, sono quelli che rispondono meglio ai suoi bisogni!

IL RUOLO DEGLI ESPERTI: MIGLIORARE L’AMBIENTE PER RIDURRE LA DISABILITA’

Il ruolo degli esperti in questo settore è quello di identificare INSIEME alla persona, sulla base di un modello basato sulla COMPLESSITÀ della persona, con un’attenta valutazione dell’ambiente, quali sono per lei le opzioni migliori per la miglior
qualità di Vita possibile.
L’ambiente è inteso come fattore contestuale determinante nel definire la disabilità, può essere una barriera o una facilitazione.
L’ambiente viene identificato dall’ICF nel senso ampio del termine, dal contesto familiare, alla assistenza sociosanitaria, alla scuola, alle politiche sociali e del lavoro presenti in un Paese.
La medicina invece aveva, e ha ancora in qualche caso, la tendenza controproducente a scindere la “malattia” dalla persona che ne è affetta e dal contesto in cui questa vive!!
Le reazioni specialistiche sono le più diverse: singole o collettive, interessate al mondo del lavoro o a quello del tempo libero, quello dell’istruzione e quello dell’assistenza, quello dell’affettività o quello della sessualità. Possono configurarsi in gesti sporadici o in pregiudizi, in ansia collettiva o in un eccesso di protezione, in esclusione momentanea o stabilizzata, in barriere architettoniche nei trasporti, negli edifici e così via.


IL RISPETTO PER LA CONDIZIONE UMANA                 


Possiamo concludere affermando che l’ICF ha introdotto una visione inclusiva, umanistica ed equa di salute. Finalmente s’intraprende un nuovo corso culturale nella società che favorirà il diritto delle persone con disabilità ad essere parte naturale della società stessa.
E per usare le parole della Presidente dell’OMS: “il problema della salute e della disabilità, sono due aspetti dello stesso fenomeno, e sta nel riconoscere la nostra condizione umana che per alcuni comporta disabilità nel presente, ma che per tutti può comportarla nel futuro. L’enfatizzare ciò che noi abbiamo in comune, come esseri umani, rende più facile il rispetto e l’adattamento alle cose che ci rendono diversi”.

LA PROPOSTA DI BIODANZA: SENTIRSI GIOIOSAMENTE VIVI !  


"La mia formazione, le mie specializzazioni e la mia esperienza professionale in questo campo, come Naturopata ed Insegnante di BIODANZA, mi hanno portato ad assumere l’approccio integrato proposto dall’OMS attraverso l’ICF come modello di riferimento. Ritengo che questa metodologia e filosofia d’intervento abbia come obiettivo la costruzione di “reti di relazione”, all’interno delle quali la persona diversamente abile, può vivere come persona capace di agire ed esprimere il proprio essere, nei termini della migliore qualità di Vita possibile."  Franco Dalla LIbera
Ecco perché possiamo introdurre il metodo della BIODANZA , come una preziosa risorsa da cogliere sia per le persone che sono portatrici di una disabilità, sia per coloro che per il loro ruolo sono portate ad occuparsi della disabilità altrui (Operatori, Assistenti Socio Sanitari, ecc.).
Per tutti la BIODANZA fornisce una grande opportunità per poter lavorare sulla connessione con la Vita e la possibilità di sentirsi “gioiosamente vivi”!
Non è difficile immaginare, sempre che non si abbia avuto l’occasione di provarlo di persona, quanto una menomazione momentanea o permanente possa invalidare la vita sociale, di relazione o lavorativa. Quanto possa essere un ostacolo pesante e gravoso per l’espressione piena di una individualità e come possa infine essere pregiudicante nel sentirsi in rapporto armonioso con la vita e con il circostante.
Ecco che la BIODANZA offre, con la sua rigorosa metodologia e la sua pratica divertente ed appagante, una possibilità per poter apprendere o riapprendere ad ascoltare il proprio corpo, le proprie sensazioni, per poter esprimere i propri stati d’animo e le proprie emozioni in forma integrata e protetta, e favorire nuovamente l’incontro con l’altro e con ogni cosa faccia parte del creato attorno a noi, realizzando così quello a cui tende il modello teorico della BIODANZA, ovvero la massima espressione delle proprie potenzialità.
Agli operatori sociali e sanitari la BIODANZA si offre come una metodologia che favorisce la riabilitazione delle persone svantaggiate, di aiutarle “delicatamente” e “dolcemente”, in modo armonioso, a riprendere o riscoprire un rapporto con se stessi  e con la vita, che ne migliori la qualità in senso generale, favorendone l’integrazione nel contesto sociale di appartenenza, e donando soprattutto una rinnovata motivazione a vivere, nonostante i propri limiti!


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